Terapie
PIÙ TERAPIE UN UNICO OBIETTIVO: IL BENESSERE DELLE PAZIENTI.
Il trattamento dell’endometriosi deve essere individualizzato e deve tener conto dalla gravità dei sintomi e dell’estensione della malattia, dell’età della paziente e del suo desiderio di prole.
L’endometriosi è una malattia che ha un importante impatto sulla vita delle pazienti e l’obiettivo della terapia e migliorarne la qualità della vita. Talora, nelle forme asintomatiche o lievi, la terapia dell’attesa può essere utile in considerazione del fatto che l’endometriosi non sia una malattia inevitabilmente evolutiva o che il suo trattamento possa prevenire o ritardare l’insorgenza di disturbi successivi. La terapia dell’attesa può essere presa in considerazione anche nelle donne in perimenopausa dal momento che l’endometriosi regredisce generalmente con la menopausa.
La terapia dell’endometriosi è medica e/o chirurgica e l’obiettivo principale è alleviare o eliminare il dolore.
La terapia medica si basa sull’ormono-dipendenza dell’endometriosi ed è pertanto indispensabile un quadro di ipoestrogenismo che provochi l’atrofia dell’endometrio sia eutopico che ectopico.
I farmaci generalmente utilizzati sono:
- progestinici o contraccettivi orali combinati ciclici o in continuo (terapia medica di prima linea);
- inibitori dell’Aromatasi, Gn-RH agonisti ed antagonisti ( terapia di seconda linea)
Tale terapia è incompatibile con la ricerca di una gravidanza ed è efficace solo per la durata del loro uso.
Data l’elevata percentuale di infertilità che coinvolge le pazienti con endometriosi, è necessario in una determinata percentuale di casi ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita o di preservazione ovocitaria.
La terapia chirurgica ha lo scopo di rimuovere tutte le lesioni visibili e le aderenze associate e ristabilire la normale anatomia.
Tenendo in considerazione che spesso si tratta di donne che presentano problemi di fertilità, l’approccio chirurgico nella maggior parte dei casi è di tipo conservativo. La via chirurgica preferenziale è quella laparoscopica o robotica.
Trattamento chirurgico:
La strategia chirurgica per questa patologia complessa deve essere modulata in base all’età della paziente, al suo desiderio di prole, alla localizzazione delle lesioni e alla sintomatologia correlata. L’intervento di eradicazione dell’endometriosi pelvica viene eseguito per via laparoscopica nel 99% dei casi, grazie al continuo evolversi delle tecniche di chirurgia mininvasiva e alle competenze acquisite..
L’approccio chirurgico adottato è per lo più conservativo, volto quindi al ripristino delle normali condizioni anatomiche e alla preservazione dell’innervazione viscerale (nerve sparing).
Questa patologia ha la capacità di infiltrare i visceri pelvici quali intestino, vescica, ureteri, parametri, vasi, linfatici e nervi (più frequentemente interessati sciatico, pudendo e radici sacrali).
Le tecniche Nerve sparing mirano alla preservazione del maggior numero di fibre nervose e delle funzioni pelviche, in particolare quella vescicale, intestinale e l’eccitabilità sessuale, intesa come capacità di avere adeguate risposte neurovascolari che comportano lubrificazione e turgore vaginale.
L’obiettivo del chirurgo è l’esecuzione di interventi radicali garantendo la protezione dell’integrità delle fibre nervose e avere una riduzione drastica, quantitativa e qualitativa, delle disfunzioni urologiche, rettali e vescicali post-operatorie con un miglioramento della qualità di vita.
L’approccio chirurgico non conservativo (isterectomia ± annessiectomia) è riservato ai casi in cui il dolore sia refrattario a qualsiasi trattamento medico e chirurgico in pazienti in peri-menopausa non più desiderose di prole.
L’indicazione al trattamento chirurgico per endometriosi pelvica è posta di comune accordo con la
paziente e solo dopo un’ampia valutazione delle diverse opzioni terapeutiche.
La chirurgia è consigliabile in caso di:
- fallimento della terapia medica (non adeguato controllo della sintomatologia);
- sterilità le pazienti trattate chirurgicamente hanno mostrato un incremento del 50% dei tassi di gravidanza spontanea ad 1-2 anni dalla chirurgia;
- intervento a basso rischio si confrontano due o tre ore di intervento rispetto ad anni di terapia medica.
La terapia chirurgica è indispensabile nelle localizzazioni intestinali della patologia in quanto può assumere un carattere infiltrante e determinare stenosi dell’intestino con rischio di sub-occlusione o occlusione. In particolare a livello del retto-sigma se il restringimento supera il 60% il rischio di occlusione è alto, a livello ileo-colico (fra il piccolo e il grande intestino, vicino all’appendice) l’occlusione intestinale può essere improvvisa e non preceduta da sintomi.
Le caratteristiche del nodulo intestinale che determinano la scelta della tecnica chirurgica sono le dimensioni (lunghezza, spessore di infiltrazione, diametro trasversale), la localizzazione (tipo di segmento intestinale interessato e distanza rispetto al margine anale), la percentuale della circonferenza coinvolta, il grado di stenosi e la presenza di lesioni multiple.
Le diverse tecniche chirurgiche per il trattamento dell’endometriosi intestinale sono:
- lo Shaving: asportazione superficiale di noduli infiltranti senza necessità di incisione della parete intestinale;
- la Resezione discoide o nodulectomia discoide: incisione e asportazione solo della porzione di intestino interessata dal nodulo che viene suturata mediante l’utilizzo di una suturatrice meccanica transanale;
- la Resezione segmentaria: asportazione di segmento intestinale contenente il nodulo e anastomosi, ricongiungimento delle due estremità mediante suturatrice meccanica transanale.
In una percentuale di casi l’eradicazione dell’endometriosi intestinale richiede il confezionamento di una stomia transitoria di protezione, ileostomia o colostomia (derivazione esterna delle feci). La stomia viene risuturata e l’intestino sottoposto a ricanalizzazione con un ulteriore intervento chirurgico eseguito dopo un periodo di circa 2-3 mesi.
Talvolta, sulla base dell’osservazione diretta, nonostante il nodulo venga studiato adeguatamente e la strategia chirurgica programmata accuratamente, può verificarsi in corso di intervento una variazione della tecnica chirurgica da adottare.
L’endometriosi colpisce nell’1% l’apparato urinario e nell’85% dei casi la lesione interessa la vescica.
In caso di endometriosi vescicale la principale indicazione all’intervento chirurgico sono dolore e sintomi urinari non controllati con la terapia medica.
Il trattamento chirurgico per l’endometriosi vescicale è la resezione vescicale segmentaria, tuttavia anche approcci chirurgici più conservativi si sono dimostrati efficaci nel trattare le lesioni e i sintomi urinari, in casi correttamente selezionati.
Al fine di identificare un eventuale coinvolgimento ureterale è necessaria la valutazione di condizioni di pielectasia, compromissione renale e rischio di perdere un rene: la diagnosi di questo rischio si fa con una ecografia addominale che evidenzia la dilatazione dell’uretere e l’eventuale sofferenza renale con una TAC o Risonanza Magnetica.
L’endometriosi ureterale è spesso silente e può portare alla perdita della funzionalità renale, quindi se riconosciuta con le metodiche strumentali va trattata chirurgicamente.
L’endometriosi ureterale, può essere conseguenza di una localizzazione intrinseca della malattia (tessuto endometriosico che infiltra la muscolare) o essere causata da un nodulo periureterale che va a comprimere l’uretere. Entrambe possono causare idroureteronefrosi.
E’ generalmente accettato che una localizzazione intrinseca della malattia richieda la resezione ureterale, mentre in caso di patologia estrinseca possa essere sufficiente l’ureterolisi.
Le pazienti con idroureteronefrosi/idronefrosi possono essere sottoposte a stenting ureterale, quando necessario a ureteroneocistostomia che viene stabilita prima dell’intervento.
La localizzazione più frequente dell’endometriosi è l’ovaio, questa può essere bilaterale configurando un quadro definito kissing ovaries. Nell’ovaio si possono reperire focolai di endometriosi nodulare non superiore ai 5 mm di tipo superficiale e cisti endometriosiche con diametro variabile, a contenuto ematico denso e piceo che le fa definire cisti cioccolato.
Le indicazioni alla terapia chirurgica dell’endometriosi ovarica sono rappresentate dalla presenza di sintomatologia dolorosa importante resistente alla terapia medica, dall’aumento delle dimensioni della cisti, cisti di diametro > 3 cm anche in assenza di sintomatologia rilevante nelle pazienti infertili.
La chirurgia ovarica può determinare una riduzione del potenziale riproduttivo della donna per una diminuzione della sua riserva ovarica. Infatti, durante l’asportazione del tessuto endometriosico, frequentemente si compromettono anche i tessuti sani, riducendo ad esempio la quantità degli ovociti presenti nell’ovaio operato o producendo alterazioni nella vascolarizzazione d’organo con conseguente riduzione della sua funzione.
CHIRURGIA LAPAROSCOPICA
La chirurgia laparoscopica rappresenta il gold standard per l’approccio all’endometrioma ovarico .
Le tecniche chirurgiche laparoscopiche sono l’escissione completa della cisti e la fenestrazione con ablazione/coagulazione della capsula.
L’escissione completa della cisti consiste nell’enucleazione della parete cistica eseguita mediante tecnica stripping. Di fondamentale importanza al fine di ridurre al minimo il danno al parenchima ovarico, in termini di riduzione della riserva ovarica, è l’individuazione ottimale del piano di clivaggio tra cisti e parenchima, prestando massima attenzione specialmente nella regione ilare dell’ovaio dove capsula e parenchima sono strettamente adesi. Talvolta, per evitare un eccessivo ricorso all’emostasi per diatermia nella regione ilare, riccamente vascolarizzata e sede di numerosi follicoli primordiali, si può effettuare una tecnica ibrida che comprende l’escissione dell’endometrioma, esclusa la porzione più adesa all’ilo che viene invece diatermocoagulata. Le recenti evidenze dimostrano che l’escissione della cisti endometriosica è la tecnica più utilizzata e, se confrontata con la vaporizzazione o la coagulazione del letto cistico, la migliore in termini di riduzione del numero di recidive, di persistenza/ricomparsa del dolore pelvico ed è associata ad un aumento del tasso di gravidanze spontanee sia nel breve che nel lungo termine.
Appare evidente che, qualunque sia la tecnica utilizzata, il danno relativo al parenchima ovarico residuo è inversamente correlato alla capacità chirurgica dell’operatore.
Spesso la terapia medica e chirurgica sono associate e la scelta di una piuttosto che l’altra, dipende dal singolo caso data l’imprevedibilità della malattia e le variazioni individuali nel suo naturale decorso.